Il bello della fonderia è che sarà sempre una via di mezzo fra la tecnologia e la manualità
Marco Marchetti è uno a cui piace lavorare con le mani. La tecnologia, i computer, gli smartphone impongono un approccio nei confronti del mondo che non lo convince fino in fondo. Ma il lavoro in fonderia, di cui lui è ormai un veterano, è affascinante perché sarà sempre a metà fra la tecnologia e la manualità. Non potrà mai essere tutto tecnologico o automatizzato, né tutto manuale.
Chi lavora nel settore delle fusioni, insomma, si deve muovere come un funambolo in equilibrio fra due mondi.
In Fonderie Ariotti Marco Marchetti, andato in pensione da poco, è stato il responsabile della formatura meccanizzata, a capo di un gruppo di sette persone. “Tutto il meccanismo deve essere ben collaudato – dice -. Ci sono molti ragazzi giovani in fonderia, e molti stranieri, che vedo ben integrati. Accettano volentieri di dedicarsi ai lavori manuali, quelli che magari i giovani italiani tendono a rifiutare, anche come primo impiego”.
Quando si parla di manualità, a Marco Marchetti si spalanca un mondo. “Lavorare con le mani stimola la creatività, la fantasia, il mestiere del fonditore apparteneva agli artisti una volta – spiega -. Adesso abbiamo a nostra disposizione macchine comandate con l’elettronica, ma il risultato è sempre lo stesso.” “Con gli impianti possiamo industrializzare, ma c’è sempre bisogno della mano e dell’ingegno dell’uomo per ottenere i risultati desiderati”.
Marco Marchetti, nei fine settimana, tiene occupate le sue mani prendendosi cura del giardino e preparando allestimenti per i presepi in legno, che sono la sua passione. Confessa di trovarsi un po’ in difficoltà quando vede la gente, i suoi figli compresi, che sta seduta a muovere le dita su uno schermo. “È una cosa che non capisco – dice – Eppure, molte volte, ho bisogno del loro aiuto per risolvere dei problemi o per ottenere delle informazioni”.
Quello a cui Marco Marchetti tiene molto, e che vuole trasmettere anche ai giovani, è la bellezza della creatività, è la necessità di non mettere solo il cervello, in quello che si fa, ma anche il cuore. “A volte mi spiace vedere ragazzi che non hanno voglia di imparare, e che magari ascoltano poco – spiega -. Anche se il primo lavoro che fanno non sarà il loro futuro, possono comunque impegnarsi e ritenersi fortunati di avere qualcuno che si mette a loro disposizione per insegnare un mestiere”.