“Non dimenticherò mai la guerra, né il mio Paese. Ma in Italia sono rinato“
Il massacro di Srebrenica, l’assedio di Sarajevo, i cecchini, le mine, i centomila morti, la pulizia etnica dei serbi nei confronti dei bosniaci musulmani.
La guerra in Bosnia-Erzegovina, così vicina, è stata per noi italiani una guerra lontana. Percepita come qualcosa di estraneo, conosciuta con la tv, con le strade di Sarajevo deserte e i buchi dei bazooka nelle pareti delle case, con i processi per genocidio, con i viaggi umanitari per tutti gli anni Novanta e Duemila. Scene viste nei telegiornali, al sicuro delle nostre case. Scene dimenticate in fretta, senza una coscienza collettiva e senza la consapevolezza che – forse – proprio quel disgregamento balcanico ha dato l’avvio alle tante crisi sociali europee di oggi.
Quella guerra non se la dimentica di certo Mirza Mackovic, o suo fratello Avdo, o il loro padre, che è scappato dalla guerra trascinando con sé entrambi i figli. Ora tutti e tre lavorano in Fonderie Ariotti, Avdo lavora ai forni assieme a un serbo, Mirza in modelleria con il padre.
“Mio padre è arrivato in Italia prima di me, io e mio fratello siamo qui dal 2002”.
“La guerra la ricordo bene – ci racconta Mirza -. Avevo 10 anni. Un giorno siamo andati nella casa dei nonni, mentre mia madre è rimasta a casa nostra ad aspettare la verdura. Il giorno dopo il paese è caduto. Militari serbi e croati hanno distrutto tutto e bruciato le case, mia madre e i miei zii sono rimasti intrappolati. Hanno portato tutti al fiume, alcuni si sono salvati, ma hanno ucciso tutti gli uomini. Ho visto i missili, tante atrocità, persone senza gambe o senza braccia”. Gli occhi si fanno lucidi. “Ho paura che possa capitare di nuovo. Oggi, le cose in Bosnia non vanno tanto bene, i politici non vanno d’accordo. È il segno che potrebbe ricominciare tutto di nuovo”.
Questa volta, però, Mirza è in Italia. “Nel 2002, appena arrivato qui – continua – ho trovato subito un lavoro come carpentiere da un artigiano. Poi, nel 2005 si è liberato un posto in Fonderie Ariotti, dove mio padre era già custode, e dal 2005 lavoro con lui”. “Facciamo riparazioni, modelli, manutenzione. I rapporti sono positivi, non ho problemi con nessuno, anzi, la cosa bella qui sono proprio i rapporti. Anche con i capi. Nel 2014 c’è stata una pesante alluvione: tutti i primi piani delle case erano allagati, una cosa mai vista. Fonderie Ariotti ha donato una somma di denaro alla Croce Rossa. Mi ha stupito, non me l’aspettavo. Anche questo gesto parla di loro”.
A 39 anni, Mirza si sente italiano. Qui ha conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie, Elmira, ragioniera in una agenzia di assicurazioni, originaria di un paese della Bosnia che dista dalla sua città natale come Brescia dista da Bergamo. Un destino che a Capriolo, dove ha acquistato una casa e dove sono nati i suoi due figli, di 11 e 5 anni, lo fa sentire ancora più a casa. “I miei figli sono nati qui, mi sento uguale a tutti gli altri, non sento nessun odio intorno a me. Anzi, ho un vicino di casa, Gaetano, di 55 anni, con cui condivido tante cose, è una persona stupenda, io l’ho aiutato a costruire il suo tetto, lui ha fatto la stessa cosa con il mio, ci aiutiamo e ci capiamo e io mi sento come un suo parente. Credo che la mia casa abbia più valore perché ha un buon vicino. Quando gliel’ho detto era felice e si è commosso”.
Mirza non cerca la Bosnia in Italia, piuttosto il contrario. In Italia, lui, ha portato il senso di un’integrazione profonda, che ha imparato in Bosnia e che la guerra ha solo rafforzato.