GIANLUIGI BONFADINI

All’inizio è stato il panico, ma oggi sono contento di fare il mio lavoro

Gianluigi Bonfadini lavora in Fonderie Ariotti dal marzo del 2018. Il primo giorno di lavoro è scappato via. L’ha colto il panico, un po’ per l’ambiente completamente diverso rispetto a dove lavorava in precedenza, un po’ per il turno di lavoro notturno e la fatica fisica e poi chissà per quali altri sentimenti che affollavano la sua mente. Oggi sorride ricordando quell’episodio, con i suoi grandi occhi marroni e gli orecchini – “ma li tengo solo perché piacciono a mia moglie!”, dice. Oggi Gianluigi sa che il suo posto di lavoro è diverso (e migliore) di molti altri.

“Sono arrivato qui grazie ad un amico – racconta –, in fonderia cercavano operai. In precedenza lavoravo in cantina, tra i vigneti, mi occupavo di carpenteria. Appena arrivato, sono entrato nel reparto distaffatura, dove sono rimasto per quattro mesi facendo i notturni; non stavo bene, sono riuscito a farmi cambiare reparto e ora sono in Ramolaggio, dove arrivano i modelli sfusi o placcati e vengono stampati”.

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Gianluigi lavora in una squadra con altre tre persone e un preposto che dà le indicazioni di lavoro. “Mi piace il posto dove sono – continua – con i colleghi ci si aiuta a vicenda. Io sono l’ultimo arrivato e se ho bisogno di aiuto me lo danno tutti. Qualsiasi difficoltà si abbia, qui il ‘no’ non esiste. Non ho mai avuto difficoltà. In Ariotti non ho ancora trovato un difetto!”.

Il valore più importante, per Gianluigi, è il rispetto reciproco, quel rispetto che scaturisce dal lavoro. Gianluigi sa perfettamente che è il lavoro la vera ricchezza, è il lavoro a rendere tutti uguali. “Qui ci sono moltissimi extracomunitari, che qualche volta faccio fatica a capire per via della lingua, ma sono dei grandi lavoratori – ci dice -, l’azienda ha saputo integrarli bene e non ci sono litigi. Ecco, se uno lavora, se si lavora tutti allo stesso modo, non ci sono problemi, anche se qualcuno la pensa in modo diverso da noi, anche se parla un’altra lingua. Le persone che lavorano non sono una minaccia”.

Il lavoro come fenomenale strumento di integrazione. Il lavoro come bene comune. “Passiamo più tempo tra di noi che con le nostre famiglie – aggiunge Gianluigi –, la prima cosa è aiutarsi, andare d’accordo e fidarsi reciprocamente, altrimenti è finita. La vita reale supera tutto, anche la politica. La politica non serve a niente. Anzi: il rispetto, quello reale, porta rispetto, la politica porta solo guerra”.

Gianluigi ha 41 anni, vive ad Erbusco, con la moglie e due figlie di undici e sette anni. “Non è facile lavorare in fonderia, qui siamo tutti bravi. Lo stipendio garantito ogni mese, poi, ti dà sicurezza per mantenere la famiglia. Io all’inizio ho avuto paura, ma quando sono rimasto senza lavoro un giorno mia figlia mi ha detto ‘papà, vai a cercare un nuovo lavoro perché abbiamo bisogno di mangiare’. Mi si è raggelato il sangue, ma ho capito l’importanza di quella frase e oggi sono contento”.

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